…scavando nelle loro radici, il gruppo dei Bràul ha sicuramente trovato un tesoro di suoni cui attingere per rinnovare le tradizioni della terra, senza per questo limitare i propri orizzonti creativi.
..l'album Cjarandis è opera matura che mette in mostra una predisposizione ″colta″ e al tempo stesso un grande amore per temi indubbiamente ″popolari″, un ossimoro che si risolve al meglio grazie alla sensibilità e alla preparazione dei musicisti.
A cura di Gigi Marinoni
D.: Ascoltando i vostri due album si riscontra un interesse profondo non solo per la musica, ma anche per le radici culturali della vostra terra, il Friuli…
R.: In effetti, forse ancora prima della musica, il nostro interesse è stato attratto dall'elemento culturale del Friuli. Erano gli anni in cui ci si interessava a tutto quanto riguardasse la cultura popolare, fosse essa italiana o scozzese, bretone o guascone, pugliese o lombarda. Leggevamo di tutto, tanto che alla fine ci siamo resi conto più degli altri che di noi, della nostra terra ed allora abbiamo iniziato a raccogliere il più possibile dati, informazioni, storie, leggende, a ricercare tra le pieghe dei gesti quotidiani o ciclici, rituali antichi, che si perdevano talvolta nei miti o nei tabù comuni a tutta Europa. Dapprima in ambito famigliare, nonni, zii, vicini di casa… poi allargando man mano “il campo”.
D.: C'è anche una notevole attenzione per la storia, dalle antiche notazioni di Mainerio nel primo album, alla ricerca (posso dire poetico-sociale?) del secondo…
R.: Si, puoi dirlo eccome. Come sai, la storia è imprescindibile; in entrambi i dischi abbiamo posto grande perizia nell'esaminare i fatti storici, anche consultando fonti diverse, evitando di citare notazioni fuorvianti e di facile presa. Noi non ci prendiamo mai troppo sul serio, ma quello che diciamo al pubblico sì. Si tratta di onestà, nel ricercare prima e nell'esporre poi.
D.: A proposito di ricerca, a che punto siamo della “vostra” storia?
R.: Siamo “dentro in miniera”, stiamo scavando sempre più a fondo nel nostro passato culturale e musicale. Ci stiamo spingendo il più in là possibile, alla ricerca delle radici primordiali del nostro canto, soprattutto quello che si è perduto nei secoli e che talvolta riemerge “mascherato” e trasfigurato in brani insospettabili: frammenti sparsi qua e là, dopo un naufragio nel tempo.
D.: Per la compilation di Keltika abbiamo scelto Il bal dal siblòt; ci racconti qualcosa, che cosa vuol dire, dove l'avete pescato?
R.: Il significato è “danza del flauto” pescato a quattro passi da casa nostra, tra i campi dell'antico paesello di Giais. Il “siblòt” era un flauto, per lo più di nocciolo, che si dice avesse da tre a sei fori e venisse suonato anticamente in riti definibili taumaturgici con lo scopo di ipnotizzare i partecipanti, fino al raggiungimento di una sorta di fase estatica. Oggi sopravvive ancora un costruttore di siblòt, ma dell'antico rituale non è rimasto più nulla, ad eccezione della danza.
D.: Quali i vostri legami con la dimensione culturale celtica?
R.: Negli ultimi anni, soprattutto grazie ai ricercatori di cui parlavamo prima e attraverso la genetica e la linguistica, si è giunti alla certezza che gran parte dell'Italia Settentrionale venne “celtizzata” L'origine stessa del nome Carnia, la zona del nordovest del Friuli, deriva da karn, tribù della famiglia celtica che vi si stabilì. Certo la nostra non è una lingua gaelica: ricordiamoci infatti che dopo i celti arrivarono i romani, poi i longobardi, poi ancora i franchi, poi i goti e via via sino agli austriaci. La nostra è una lingua di ceppo ladino, romancio come l'engadino ed ha molte affinità con il catalano o il provenzale, ma ciò non toglie che ci fu un'origine diversa.
D.: Se vi dovessero chiedere di definire i Bràul?
R.: Un gruppo di amici, qualcuno quasi d'infanzia, che lavora con entusiasmo alla ricerca e riproposta delle proprie “radici” culturali, divertendosi e cercando di far divertire chi li ascolta, di creare in loro un interesse ed una gratificazione, senza per questo voler “salire in cattedra”.
D.: Come valutate, dopo dieci anni, la vostra esperienza?
R.: Le soddisfazioni, per chi come noi è partito senza aspettarsi nulla, sono state grandissime e talvolta incredibili; tutt'ora ci capita di arrossire… Il fatto di essere conosciuti ed apprezzati nei circuiti folk, di avere tanti amici anche tra musicisti maggiormente noti e organizzatori “storici”, di esserci piazzati in vetta al Folkcontest 1999 a Casale Monferrato… beh, sono soddisfazioni. Adesso riponiamo le nostre speranze per il futuro nel nostro secondo album Cjarandis, dopo il grande successo del primo La corte di Lunas. E contiamo molto anche sull'aiuto di Keltika!
D.: Dopodichè, quali le prossime mosse?
R.: Ci piace molto l'idea di un nuovo disco, che abbia come tema l'evoluzione linguistica del friulano nei secoli. Vorremmo farlo in modo semplice, con pochi strumenti acustici. Ma al tempo stesso siamo fortemente attratti da ciò che è contemporaneo, sia come musica e arrangiamenti che come contenuto linguistico, cioè dal punto di vista dell'evoluzione del linguaggio e di collaborazioni con scrittori e poeti, con i quali abbiamo già iniziato a lavorare, come Novella Cantarutti. Come vedi le tentazioni non mancano.
Intervista a cura di Gigi Marinoni